IL RAPPORTO TRA PROCESSO DI ESECUZIONE E GIUDIZIO DI DIVISIONE ENDO-ESECUTIVA

Il tema è affrontato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21218 del 02.10.2020.

Successivamente alla pronuncia di sentenza ex art. 2901 c.c. di revoca della vendita della quota di ½ di immobile, originariamente in comunione tra Tizio e Caia, effettuata da quest’ultima in favore del primo, la società Alfa pignorava la quota indivisa di proprietà di Caia.

Instaurata la procedura esecutiva, il G.E. disponeva con ordinanza di procedere alla divisione del bene in comunione. Seguiva dunque l’instaurazione del giudizio di divisione endo-esecutiva.

Il Tribunale dichiarava la non comoda divisibilità dell’immobile, disponendone la vendita, con sentenza successivamente confermata in appello e passata in giudicato a seguito del rigetto di ricorso per cassazione.

Il giudizio di divisione proseguiva dunque con la vendita del bene pignorato, successiva aggiudicazione ed emissione dei decreti di trasferimento.

Tizio deduceva che, dopo la pronuncia della Corte d’Appello che aveva confermato la non comoda divisibilità del bene, avrebbe dovuto essere riassunto il giudizio di esecuzione. Non essendo ciò avvenuto, Tizio depositava dunque al G.E. istanza di estinzione del processo esecutivo per mancata riassunzione nel termine di cui all’art. 627 c.p.c..

Previa fissazione di apposita udienza, il G.E. rigettava la domanda di Tizio, che proponeva reclamo avverso tale provvedimento di rigetto.

Il Tribunale rigettava il reclamo, ma la Corte d’Appello accoglieva la successiva impugnazione, dichiarando l’estinzione del processo esecutivo ed ordinando la cancellazione del pignoramento e della citazione per divisione dell’immobile.

Il curatore della società Alfa ricorreva in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello, giudizio ancora pendente dinnanzi alla Suprema Corte.

Tizio chiedeva dunque al Giudice della divisione di adottare tutti i provvedimenti conseguenti alla dichiarazione di estinzione del processo esecutivo. Ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c., il predetto Giudice, in considerazione delle questioni giuridiche prospettate dinnanzi alla Suprema Corte nel giudizio pendente, sospendeva il processo di divisione sino al passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello che aveva dichiarato l’estinzione del processo esecutivo. Tizio e Caia impugnavano tale ordinanza con ricorso per regolamento necessario di competenza, occasione per la Suprema Corte per affrontare nuovamente il delicato tema del rapporto tra processo esecutivo e giudizio di divisione endo-esecutiva.

La Corte di Cassazione ribadisce innanzitutto che la divisione endo-esecutiva, sebbene strumentale alla liquidazione del compendio immobiliare pignorato per quota indivisa, non costituisce una fase dell’espropriazione, ma resta una parentesi cognitiva autonoma, oggettivamente e soggettivamente distinta dalla procedura espropriativa che ne ha cagionato l’introduzione. La Suprema Corte richiama sul punto il proprio precedente in materia, secondo cui il giudizio di divisione endo-esecutiva, pur costituendo una parentesi di cognizione nell’ambito del processo esecutivo, ne rimane soggettivamente ed oggettivamente distinto, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase (Cass. civ. n. 6072/2018). Di conseguenza, le vicende che interessano l’uno non esplicano immediatamente effetti nell’altro e il Giudice dell’esecuzione ha dunque applicato correttamente l’art. 337, comma 2, c.p.c., per la sospensione del giudizio di divisione.