I VIZI DELLA VALIDITA’ DELLA VENDITA FORZATA VANNO FATTI VALERE ATTRAVERSO L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI EX ART. 617 C.P.C.?

La questione è affrontata dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 22854 del 20.10.2020.

Tizia è aggiudicataria di un immobile nell’ambito di una procedura esecutiva promossa dalla società Alfa, rappresentata dalla società Beta, in cui interviene anche altro creditore. Tizia provvede al pagamento del prezzo di aggiudicazione, che viene poi distribuito tra i creditori aventi diritto.

Successivamente Tizia cita in giudizio le società Alfa e Beta per la restituzione di parte del prezzo dalla medesima versato e distribuito alle convenute, sostenendo che i giardini di pertinenza dell’unità immobiliare oggetto di aggiudicazione avrebbero una dimensione in metri quadri inferiore rispetto a quella indicata nella relazione di stima. Ciò avrebbe comportato il versamento di un importo a titolo di prezzo maggiore rispetto al dovuto.

La società Alfa chiama in manleva il perito Caio, che ha redatto la relazione di stima del bene pignorato, nei confronti del quale l’attrice estende le proprie domande.

Il Tribunale rigetta le domande di Tizia con sentenza, poi confermata anche dalla Corte d’Appello.

Tizia propone avverso la sentenza di secondo grado ricorso in Cassazione, rigettato, tra gli altri, per i seguenti motivi.

Quanto all’azione spiegata, i giudici della Suprema Corte richiamano l’orientamento giurisprudenziale secondo cui ogni questione relativa alla validità ed efficacia dell’aggiudicazione e della vendita forzata deve essere fatta valere, tanto dalle parti del processo esecutivo quanto dall’aggiudicatario, nell’ambito del medesimo processo esecutivo, attraverso l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.. Un’autonoma azione di ripetizione, in tutto o in parte, del prezzo di aggiudicazione è infatti proponibile nei confronti dei creditori che hanno partecipato al riparto ovvero del debitore che ha ricevuto l’eventuale residuo del prezzo, soltanto in via eccezionale: occorre infatti dimostrare che l’esperimento dei rimedi endoesecutivi non è stata possibile prima della definitiva chiusura della procedura esecutiva, avendo appreso solo successivamente della causa di invalidità, nonostante una condotta improntata all’ordinaria diligenza.

In particolare, la Cassazione richiama le proprie precedenti decisioni secondo cui “nella vendita forzata l’aggiudicatario del bene pignorato, in quanto parte del processo di esecuzione, ha l’onere di far valere le ipotesi di aliud pro alio con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, che va esperita nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfativa dell’espropriazione, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione e comunque entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria” (Cass. civ. n. 7708/2014; nel medesimo senso: Cass. civ. n. 11729/2017 e n. 12242/2016). La Corte ritiene che tale principio abbia validità generale per tutte le ipotesi di contestazioni attinenti alla regolarità della vendita coattiva e, dunque, anche nel caso in cui venga posto in discussione l’ammontare del prezzo di aggiudicazione.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha accertato che l’aggiudicataria ha certamente avuto la possibilità di rendersi conto della effettiva dimensione dei giardini di pertinenza dell’unità immobiliare posta in vendita, avendo visitato personalmente l’immobile prima della gara e avendo preso visione della relazione di stima. Tizia avrebbe dovuto, in sostanza, muovere le proprie contestazioni mediante opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c..

I Giudici di legittimità non ravvisano, inoltre, la sussistenza di un danno per Tizia. L’errore nell’indicazione della superficie in metri quadrati dei giardini, contenuto nella relazione di stima, non ha infatti avuto una effettiva incidenza sul prezzo di aggiudicazione: la gara si è svolta con una pluralità di offerenti e di rilanci, con aggiudicazione ad un prezzo pari all’incirca al doppio di quello base.

In sostanza, l’erronea determinazione del prezzo base da parte del perito non ha determinato l’aggiudicazione dell’immobile ad un prezzo superiore a quello che sarebbe stato corrisposto da Tizia in caso di corretto calcolo del prezzo base. La Corte d’Appello ha infatti accertato che, anche in mancanza dell’errore, l’aggiudicazione sarebbe avvenuta al medesimo prezzo finale, escludendo dunque un eventuale danno subito dall’aggiudicataria in conseguenza dell’erronea indicazione dei metri quadrati.