I PLURIMI RIBASSI DEL PREZZO BASE D’ASTA GIUSTIFICANO LA SOSPENSIONE DELLA VENDITA E L’ESTINZIONE ANTICIPATA DEL PROCESSO ESECUTIVO?

Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza n. 11116 del 10.06.2020.

Una banca promuove a carico dei coniugi Tizio e Caia procedura esecutiva immobiliare avente ad oggetto la proprietà superficiaria di un villino dei medesimi. Nella procedura esecutiva intervengono successivamente anche altri creditori.

L’immobile oggetto di espropriazione viene venduto al prezzo di €.270.000,00.= dopo l’esperimento di diversi tentativi di vendita, con conseguente ribasso del prezzo base di gara originariamente fissato a €.780.000,00.=.

Tizio deposita istanza di sospensione della procedura, lamentando la notevole sproporzione tra il prezzo offerto e quello di stima, la conseguente impossibilità di un ragionevole soddisfacimento di alcuni dei creditori e il danno per il debitore. In via subordinata, chiede la sospensione della procedura esecutiva ex art. 586 c.p.c..

Il Giudice dell’esecuzione rigetta la suddetta istanza e aggiudica l’immobile all’offerente Mevio con provvedimento successivamente opposto ex art. 617 c.p.c. da Tizio, che chiede applicarsi l’art. 164 bis disp. att. c.p.c..

Il Giudice dell’esecuzione emette comunque decreto di trasferimento dell’immobile, anch’esso opposto da Tizio ex art. 617 c.p.c. per motivazioni simili a quelle sollevate con la prima opposizione. L’opponente lamenta inoltre che l’aggiudicazione al prezzo in concreto maturato deriverebbe dalla crisi del mercato immobiliare e costituirebbe ragione di ingiustizia.

Riunite le opposizioni, il Giudice dell’esecuzione rigetta l’istanza di sospensione, escludendo che sussistano in concreto i presupposti per l’applicazione degli artt. 586 c.p.c. e 164 bis disp. att. c.p.c..

Introdotto il giudizio di merito, il Tribunale rigetta le opposizioni, ponendo alla base della decisione:

- quanto all’art. 586 c.p.c., i principi elaborati dalla Suprema Corte con sentenza n. 18451/2015, di cui si dirà in seguito;

- quanto all’art. 164 bis disp. att. c.p.c., l’inesistenza di un interesse del debitore tutelato dalla norma e la fruttuosità almeno parziale della vendita.

La decisione del Tribunale è impugnata innanzi la Suprema Corte di Cassazione con ricorso, rigettato per i seguenti motivi.

I ricorrenti lamentano, tra le altre, violazione e falsa applicazione degli art. 586 c.p.c. e 164 bis disp. att. c.p.c.. In particolare, sostengono che l’aggiudicazione al prezzo di €.270.000,00.= a fronte di un valore del bene stimato in €.780.000,00.= in presenza di crediti nella proceduta esecutiva per circa €.550.000,00.= sarebbe avvenuta ad un prezzo inferiore a quello giusto e non consentirebbe un ragionevole soddisfacimento dei creditori. Ciò imporrebbe la sospensione della vendita o, addirittura, la chiusura anticipata della procedura esecutiva.

In primo luogo, la Corte di Cassazione sottolinea la rilevanza dell’esecuzione forzata, complemento indispensabile della tutela di ogni diritto e garanzia dell’effettività del sistema giuridico. Il diritto ad un ricorso ad un Giudice, consacrato anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, verrebbe infatti di fatto svuotato se l’ordinamento giuridico non consentisse l’applicazione di una decisione giudiziaria, danneggiando dunque una parte.

L’interesse perseguito dall’ordinamento è in sostanza l’effettività della tutela giurisdizionale del creditore e non il contenimento dei disagi del debitore. È ovviamente salvo il diritto ad un regolare processo esecutivo con partecipazione da parte del debitore.

Il processo esecutivo non persegue il fine di limitare i danni per l’esecutato, essendo predominante l’esigenza di ripristinare il diritto violato dall’inadempimento del debitore. L’esecuzione deve dunque aver luogo, a pena di ineffettività dell’ordinamento giudirico.

Ciò detto, con riguardo all’art. 586 c.p.c., la Suprema Corte richiama il principio espresso nella propria decisione n. 18451/2015, ovvero la legittimità della sospensione della vendita dopo l’aggiudicazione solo quando: 

  1. si verificano fatti nuovi successivi all’aggiudicazione;
  2. emerge che nel procedimento di vendita si sono verificate interferenze illecite di natura criminale che hanno influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa;
  3. il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita è frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione;
  4. vengono prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti, purchè questi ultimi li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l’esercizio del potere del Giudice dell’esecuzione.

È quindi da considerarsi giusto il prezzo formatosi all’esito del corretto funzionamento dei meccanismi processuali atti a determinarlo e non quello soggettivamente reputato.

Nulla osta alla reiterazione dei tentativi di vendita, purché non all’infinito, con successivi ribassi del prezzo base d’asta. Non è quindi ingiusto il prezzo sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita.

Con riguardo all’art. 164 bis disp. att. c.p.c., che prevede la chiusura anticipata della procedura in caso di impossibilità a conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, la Suprema Corte disamina la relazione al disegno di legge di conversione del decreto legge che ha introdotto la disposizione. La norma è stata infatti formulata quale strumento per evitare la prosecuzione di procedure esecutive inidonee a consentire il soddisfacimento degli interessi dei creditori e non a tutela dell’interesse del debitore a non vedere svenduto il proprio immobile.

In sostanza, obiettivo della norma è evitare la prosecuzione di procedure esecutive inidonee a produrre un ragionevole ed apprezzabile soddisfacimento dell’interesse dei creditori, generando soltanto costi processuali più elevati del valore di realizzo dei beni pignorati o, comunque, di procedure esecutive idonee a generare soltanto ulteriori nuovi costi, soprattutto se non facilmente recuperabili.

La valutazione di infruttuosità potrà fondarsi sul fatto che il bene offerto in vendita è risultato, per caratteristiche oggettive, con buone probabilità invendibile oppure vendibile a condizioni talmente rovinose, da determinare un soddisfacimento irrisorio dei crediti già maturati o, a maggior ragione, delle sole successive spese del processo esecutivo. Circostanze che la Corte di Cassazione non ritiene ravvisabili nella procedura esecutiva in questione.