LA LIBERAZIONE DELL’IMMOBILE PIGNORATO DA PARTE DEL DEBITORE E DEI COMPONENTI DEL NUCLEO FAMILIARE.

L’art. 560, comma 3, c.p.c. ha subito rilevanti modifiche a seguito dell’emanazione della Legge n. 12/2019, di conversione del D.L. n. 135/2018.

In precedenza, infatti, l’art. 560, comma 3, c.p.c. prevedeva che il giudice dell’esecuzione disponesse la liberazione dell’immobile pignorato, qualora non ritenesse di autorizzare il debitore a continuare ad abitarlo.

La nuova formulazione dell’articolo in questione, applicabile alle procedure esecutive immobiliari iniziate con pignoramenti notificati a partire dal 13.02.2019, stabilisce ora quanto segue:

- al comma 3, che “il debitore ed i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell’immobile e delle sue pertinenze…”;

- al comma 6, che “il giudice ordina, sentiti il custode e il debitore, la liberazione dell’immobile pignorato per lui ed il suo nucleo familiare, quando l’immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare, quando il debitore viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico, o quando l’immobile non è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare”;

- al comma 8, che “fermo restando quanto previsto dal sesto comma, quando l’immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari il giudice non può mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento ai sensi dell’art. 586”.

Il legislatore ha in sostanza accordato un regime di “favore” e speciale nel caso in cui l’immobile pignorato sia destinato ad abitazione principale del debitore e del suo nucleo familiare, i quali potranno continuare ad abitarvi sino all’emanazione del decreto di trasferimento.

La nuova disposizione ha posto una serie di riflessioni ed interrogativi in ordine alla sua applicazione.

In primo luogo, il legislatore ha sottolineato in più punti della norma che l’immobile oggetto di tutela deve essere destinato ad uso abitativo, ovvero il debitore ed il proprio nucleo familiare devono avere stabilito nello stesso la loro residenza. Rimangono pertanto esclusi dal regime di “favore” gli immobili che siano destinati ad usi diversi (ad es. seconde case, uffici e studi). Al riguardo, varranno quindi le risultanze dei certificati di residenza e dello stato di famiglia del debitore, ferma restando l’eventuale prova contraria in fatto.

Ci si è posti inoltre l’interrogativo se la norma possa trovare applicazione esclusivamente nel caso in cui l’immobile sia abitato dal debitore unitamente al proprio nucleo familiare o anche nel caso in cui sia abitato dal solo debitore. In merito, appare preferibile l’interpretazione della norma che sostiene la sua applicazione indipendentemente dalla presenza o meno di un nucleo familiare, più coerente con la necessità di garantire le esigenze abitative di chi subisce l’espropriazione (si veda in merito l’interessante riflessione di ANNA MARIA SOLDI, “Il manuale dell’esecuzione forzata”, VII edizione, pagg. 1616 e ss.).

Al ricorrere della condizione prevista dalla norma, il debitore ed il proprio nucleo familiare potranno dunque continuare ad occupare l’immobile pignorato sino all’emanazione del decreto di trasferimento. Ma dovranno evitare di:

- ostacolare il diritto di visita da parte dei potenziali acquirenti;

- non tutelare e mantenere l’immobile in uno stato di buona conservazione, per dolo o colpa;

- violare gli altri obblighi che la legge pone a carico del debitore.

Nel caso fossero tenuti i predetti comportamenti, il Giudice ordinerà infatti la liberazione dell’immobile, senza attendere la pronuncia del provvedimento traslativo del diritto reale sottoposto ad esecuzione.

Il Giudice ordinerà infine la liberazione dell’immobile, anche nel caso in cui, in pendenza di procedura esecutiva, venga meno la condizione richiesta dall’art. 560 c.p.c. per l’applicazione del regime di “favore” (abitazione principale del debitore e del proprio nucleo familiare).