È POSSIBILE AGIRE ESECUTIVAMENTE SU BENI IMMOBILI DESTINATI IN FONDO PATRIMONIALE PER UN DEBITO CONTRATTO NELL’ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ DI IMPRESA?

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 8201 del 27.04.2020 ritorna su un tema ampiamente dibattuto, ovvero l’esecuzione su beni immobili destinati in fondo patrimoniale.

L’art. 167, comma 1, c.c. prevede che “ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia”. In base al successivo art. 170 c.c., “l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

La questione ruota intorno all’interpretazione di cosa ricomprenda il concetto di “bisogni della famiglia”.

Nel caso di specie, Tizia, amministratrice della società Alfa, presta fideiussione personale per un finanziamento contratto dalla predetta società con una Banca. Successivamente alla stipula del finanziamento, Tizia costituisce insieme al marito Caio un fondo patrimoniale, destinando due immobili all’interno del fondo per far fronte ai bisogni della famiglia.

A seguito del mancato pagamento del finanziamento da parte della società Alfa, la Banca escute la fideiussione e procede poi al pignoramento della quota di ½ di Tizia dei due immobili facenti parte del fondo patrimoniale.

Caio propone dunque opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. avverso il pignoramento promosso dalla Banca, sostenendo che gli immobili sono conferiti in fondo patrimoniale e che dunque l’esecuzione non può avere luogo su tali beni, stante il divieto previsto dall’art. 170 c.c.. La Banca contesta le argomentazioni di Caio, in quanto, a suo avviso, il debito è stato invece contratto per scopi non estranei ai bisogni della famiglia.

Il Tribunale rigetta il ricorso di Caio, ritenendo che Tizia ricavi dall’attività imprenditoriale, nel cui ambito il debito è stato contratto, proventi destinati anche alle necessità della famiglia.

Tizia propone appello avverso la sentenza di primo grado, evidenziando come l’importo finanziato sia stato interamente speso per l’acquisto di un bene sociale.

La Corte d’Appello accoglie il gravame, in quanto la documentazione in atti prova che la somma erogata a titolo di finanziamento è stata utilizzata dalla società per l’acquisto di beni strumentali, mediante pagamento diretto della Banca all’impresa fornitrice. Il finanziamento è stato dunque destinato all’attività di impresa e non a soddisfazione di esigenze familiari, se non in via assai mediata.

La Banca propone avverso la sentenza della Corte d’Appello ricorso per Cassazione, rigettato dai Giudici di legittimità per i motivi che seguono.

In primo luogo, la Banca sostiene che la Corte d’Appello ha erroneamente operato un’inversione dell’onore probatorio nel ritenere che la stessa non ha fornito la prova che il finanziamento sia stato contratto per specifici bisogni della famiglia. Al riguardo, la Suprema Corte evidenzia come la Corte d’Appello non abbia invertito l’onere della prova, ma semplicemente accertato che l’importo finanziato è stato impiegato per l’acquisto di beni strumentali della società e che, pertanto, tale finalità non è rientrante nel concetto di bisogni della famiglia riportato nell’art. 170 c.c..

La Banca sostiene infine che la Corte d’Appello avrebbe in ogni caso violato l’art. 170 c.c., sancendo l’impignorabilità dei beni destinati nel fondo patrimoniale, nonostante il finanziamento sia stato contratto per l’interesse della famiglia. Secondo la Banca, il concetto di interesse della famiglia deve essere interpretato in senso ampio, ricomprendendo anche le esigenze volte al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, al potenziamento della capacità lavorativa ed escludendo le sole esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi.

Sul punto, la Suprema Corte chiarisce tuttavia che: “se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell’attività professionale da cui quest’ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell’art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale”.